La vendemmia, in Villa, era una grande festa per tutti. Quello che si consumava qui, andando avanti anche per giorni e giorni, era un vero e proprio rito collettivo. Era uno dei rari momenti, ai tempi, in cui gli uomini chiamavano a prendere parte a quello che si stava facendo anche le donne e pure i bambini. Erano anni in cui tantissime famiglie vivevano in campagna e nei quali tutti tiravano a campare con la fatica nei campi. Anche la scuola iniziava più tardi e questi giorni segnavano praticamente la fine delle vacanze per i tanti ragazzini che, chiassosi, si rincorrevano nell’aia o cercavano di dare il loro piccolo aiuto con i piedi nudi infilati nelle tinozze. Ma erano le donne, le giovani che venivano comandate dalle “vergare” a dare una mano, ad immergersi con i raspi fino alle nude ginocchia mentre le mani afferravano e alzavano gonne e grembiuli nella grande vasca dove l’uva finiva dopo essere stata portata fino alla Villa su carri pieni fino all’orlo trainati dai cavalli o dal bestiame. Spesso erano vacche e tori, infatti, a tirare in salita i grossi birocci perché i cavalli erano considerati animali nobili, che non tutti potevano permettersi. I grappoli dai tini venivano scaricati nella grande vasca che fungeva da deposito. Il lavoro delle donne che pigiavano faceva esplodere nell’aria qualcosa di inebriante che arrivava quasi a stordire tanto era intenso il profumo. Tutto, fatica compresa, era alleggerito dai canti popolari di una tradizione ormai andata.
Il mosto ben presto scendeva in un canale e finiva, dopo aver attraversato sotto terra la polverosa strada, in capienti contenitori prima di essere riversato nelle grosse botti in legno che un tempo occupavano completamente la grande cantina. Il vino era uno dei prodotti della terra destinato ad essere condiviso. I ricchi proprietari terrieri della zona, che arrivavano non solo dalle campagne settempedane ma anche dalle vicine campagne di Treia e Castelraimondo, ne facevano un prodotto da consumo proprio, non era destinato alla commercializzazione come avviene oggi. Il vino era per il padrone ed era pure per il contadino che lo beveva a pasto, a pranzo e a cena e che, ogni tanto, coglieva l’occasione buona per farne anche qualche altro assaggio nel corso della giornata.
Oggi nella grande cantina storica sono ancora ben visibili, perfettamente conservati e restaurati, i bocchettoni in marmo dai quali usciva il mosto prima di finire nelle grosse botti. Dietro la produzione del vino si passavano giornate intere. Alla pigiatura delle uve seguiva, infatti, la fermentazione che non era certo come oggi. Pochi potevano mettere il naso nelle botti per attendere il giusto momento. Ogni volta era come assistere alla nascita di un figlio. E anche nelle vigne si passavano praticamente le stagioni: per i lavori di potatura, legatura e piegatura dei tralci, la zappatura del terreno, la cimatura e, infine, la protezione dell’uva dai predatori naturali come gli uccelli.
Nei campi attorno alla Villa con la bella stagione era un fiorire di spaventapasseri. Erano fantocci fatti con gli stracci di casa: l’unico antidoto agli uccelli in cerca di grappoli da spolpare! Prima di qualsiasi vendemmia i contadini dovevano lavare ed aggiustare i contenitori del vino dell’anno prima come tini, botti e damigiane: operazione che andava avanti, anche in questo caso, per giorni e giorni. Solo terminate tutti questi doveri si poteva procedere alla vendemmia. Si aspettava una bella giornata di sole, si lavorava dall’alba al tramonto. Scale, cesti, cesoie, ma soprattutto mani, mani e mani. E via a raccogliere i preziosi chicchi scartando quelli che non erano buoni. La vigna veniva ripulita di tutta l’uva: non ne rimaneva nemmeno un piccolo grappolo. A pranzo si mangiava tutti insieme seduti nel prato, tra i filari della vigna. Canti e risate scacciavano via la fatica. Poi si restava col fiato sospeso in casa per settimane. Il primo vino per tradizione si assaggiava con le castagna a San Martino, l’11 novembre. Fino al cenone di Capodanno, si conservavano perché si pensava portassero prosperità, in cantina restavano appesi sulle “pertiche” anche i grappoli di uva bianca dolce lasciati lì ad essiccare per settimane e settimane. Il mosto non veniva certo buttato: le donne lo utilizzavano per confezionare filoni morbidi ricercati dai bambini per fare colazione ma non solo. Ancora oggi, proprio nel periodo della vendemmia, ci piace mettere in tavola, su di un grosso cestino in vimini, almeno un paio di filoni di mosto. Amiamo rivivere, insieme ai nostri ospiti, una tradizione che si è un po’ persa negli anni ma che, fin dal sapore, richiama a un modo diverso di vivere La Villa. Il modo che a noi piace più di ogni altra cosa. E, anche questa, è per noi occasione per farvi e farci sentire a casa.